
Come curare l’Ernia Inguinale
Come si sviluppa un’ernia inguinale? Esistono nuovi trattamenti per soluzionare questa malattia? Il Dott. Salvatore Martelli introduce e spiega cos’è questa patologia e come curarla
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L’ernia si verifica quando parte degli organi interni o di un tessuto spinge attraverso una debolezza presente nella parete muscolare. L’ernia inguinale si verifica quando parte dell’intestino o del tessuto adiposo spinge contro l’inguine nella parte superiore della coscia. Si tratta inoltre del tipo più comune di ernia.
I sintomi dell’ernia inguinale sono un rigonfiamento o un nodulo all’inguine oppure uno scroto allargato. Tali sintomi possono inoltre essere accompagnati da dolore o disagio, dolore quando si tossisce o si sollevano pesi oppure da una sensazione di trascinamento verso il basso all’inguine. Anche una protuberanza su uno dei lati dell’osso pubico può essere un segno di ernia inguinale.
È possibile spingere l’ernia indietro in posizione sdraiata, tuttavia vi possono essere complicanze: l’ernia rimane bloccata o intrappolata ostruendo l’intestino oppure l’ernia si strozza provocando l’interruzione dell’afflusso di sangue. Si tratta di sintomi potenzialmente molto gravi, che possono mettere in pericolo di vita e che richiedono un’attenzione immediata. Tra i sintomi di ernia strozzata vi sono vomito e nausea, febbre, dolore improvviso, una protuberanza che diventa rossa o viola oppure l’impossibilità di andare di corpo o di emettere flatulenze.
Mentre molto spesso non vi è una causa evidente, un aumento di pressione nell’addome, un punto debole nella parete addominale, lo sforzo esercitato quando si espellono le feci, le attività intense e una tosse persistente possono tutte causare un’ernia inguinale. Inoltre, la condizione spesso si verifica durante la gravidanza.
Altri fattori di rischio per lo sviluppo di ernia inguinale sono un’anamnesi familiare di ernie, il sesso (si sviluppano con molta più probabilità negli uomini) e l’età (il rischio aumenta con l’avanzare degli anni).
Evitare un’eccessiva pressione nell’addome, provocata da sforzi durante la defecazione o la minzione, oppure evitare di trasportare e spostare carichi pesanti possono ridurre il rischio di ernia inguinale, tuttavia molte ernie potrebbero essere inevitabili in quanto non presentano alcuna causa apparente. Lo stress sui muscoli addominali può essere ridotto mantenendo un peso sano, seguendo una dieta ricca di fibre e smettendo di fumare.
Per trattare un’ernia inguinale si può ricorrere ad intervento chirurgico, tuttavia in molti casi ciò non è necessario e basta semplicemente tenerla controllata. L’intervento è raccomandato per le ernie che causano dolore grave o che hanno dato origine a complicanze. Una di tali complicanze è lo strangolamento nel punto in cui l’intestino è rimasto intrappolato, una condizione che richiede un trattamento di emergenza per ripristinare l’afflusso di sangue per via chirurgica.
In caso di ernia inguinale, si consiglia di recarsi da uno specialista in Chirurgia Generale
L’ernia iatale si presenta quando una porzione dello stomaco spinge verso l’alto attraverso un'apertura (chiamata iato) presente nel diaframma. Il diaframma è una lamina muscolare situata tra l’addome e il torace. Nella chirurgia dell’ernia iatale lo stomaco viene risospinto nell’addome e le dimensioni dello iato del diaframma vengono ridotte.
L’intervento chirurgico è necessario quando l’ernia iatale non risponde ai farmaci o a cambiamenti a livello di stile di vita. A volte, per i casi di emergenza, è necessario eseguire un intervento chirurgico. L’intervento è raccomandato anche in presenza di sintomi persistenti, qualora non si desideri assumere farmaci a lungo termine.
La chirurgia dell’ernia iatale viene di solito eseguita utilizzando un laparoscopio, che è uno strumento della chirurgia mininvasiva. Prevede una serie di piccole incisioni addominali e l’impiego di anidride carbonica per gonfiare una porzione dell’addome. Ciò consente al chirurgo di avere più spazio in cui lavorare. Sul laparoscopio è montata una piccola telecamera, che consente al chirurgo di osservare l’interno del corpo durante l’operazione.
Durante l’intervento lo stomaco viene riportato nella posizione corretta e il diaframma che circonda l’esofago viene stretto per impedire che dell’altro acido possa refluire dallo stomaco.
L’intervento viene eseguito in anestesia generale per garantire che non vi sia dolore. Questo tipo di chirurgia richiede 1-2 ore per essere completata.
È probabile che, prima dell’intervento chirurgico, il medico voglia effettuare degli esami per controllare la qualità del movimento dell’esofago e la quantità di acido refluito nell’arco delle 24 ore. Prima di effettuare l’intervento, il chirurgo spiegherà in dettaglio la procedura e che cosa aspettarsi da essa, oltre a tutti i possibili effetti collaterali.
Tali effetti collaterali includono:
I pazienti che si sono sottoposti ad un intervento chirurgico all’ernia iatale possono lasciare l’ospedale una volta passato l’effetto dell’anestetico generale, di solito nel giro di due o tre giorni. Dopo l’intervento la maggior parte dei pazienti è in grado di tornare al lavoro nel giro di 3-6 settimane. Dopo l’intervento si raccomanda inoltre di consumare cibi non solidi, come zuppe o passati di verdure nelle prime sei settimane.
Il reflusso gastroesofageo consiste nella risalita dei succhi gastrici dello stomaco nell’esofago, il canale attraverso il quale liquidi e alimenti scendono dalla bocca allo stomaco. Quando i sintomi si presentano più volte nel corso di una giornata e si associano ad altri disturbi, si può parlare di malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE).
Il contenuto gastrico contiene acidi che irritano la mucosa esofagea e causano i sintomi tipici del reflusso gastroesofageo: bruciore di stomaco e al petto, acidità, ipersalivazione e rigurgito. L’acidità dei succhi gastrici può irritare anche le vie respiratorie e la gola, provocando l’abbassamento della voce, laringite, raucedine, tosse e asma.
L’esofago, attraverso dei movimenti ritmici e aiutato dalla forza di gravità, fa avanzare il cibo verso lo stomaco. Lo sfintere esofageo inferiore regola il passaggio del cibo, aprendosi per far passare il bolo alimentare e chiudendosi per impedire allo stesso di risalire. Il reflusso si verifica quando vi è un malfunzionamento di questa valvola, che si apre nel momento sbagliato e permette lo spostamento del contenuto gastrico verso l’alto. Un’altra causa è uno svuotamento gastrico lento. Quanto più il cibo ristagna nello stomaco, tanto maggiori sono le probabilità che si presentino i sintomi del reflusso gastroesofageo. Anche quando il PH salivare, basico, si abbassa, l’esofago è meno protetto dagli attacchi dei reflussi gastrici.
L’alimentazione gioca un ruolo importante nella cura e nella prevenzione del reflusso gastroesofageo. Tra gli alimenti da evitare vi sono insaccati, alcolici, formaggi, tè, caffè, pomodoro, agrumi, bibite gassate e soffritti. Il latte, il “rimedio della nonna” per eccellenza contro il reflusso, in realtà lo favorisce, in quanto è un alimento ricco di grassi che potrebbero rallentare lo svuotamento dello stomaco. È buona cosa mangiare lentamente, triturando bene il cibo per favorire la digestione, e fare 4-5 piccoli pasti al giorno. Inoltre, è meglio evitare di andare a dormire subito dopo aver mangiato. Infine, bisogna evitare di assumere alcuni farmaci, come antinfiammatori non steroidei e alcuni ansiolitici, che possono aumentare l’acidità gastrica, e di indossare vestiti troppo stretti.
Il trattamento si basa sulla correzione dello stile di vita e sulla terapia farmacologica. Quest’ultima si avvale di farmaci in grado di accelerare il tempo di svuotamento dello stomaco, di proteggere la mucosa esofagea e di ridurre l’acidità dei succhi gastrici. Solo in casi particolari, che non hanno trovato risposta nel trattamento con i farmaci, si ricorre all’intervento chirurgico, che ha come scopo il ripristino della funzionalità dello sfintere.
La colonscopia è un’endoscopia utilizzata per esaminare il colon e l’intestino tenue, per escludere la presenza di anomalie (tra queste, infiammazioni o ulcere). La durata è di circa 15-20 minuti.
Viene eseguita per mezzo di una sonda molto fina (endoscopio) introdotta a partire dall’ano e dotata di una telecamera all’estremità, che riprende gli organi e le pareti da cui passa.
Una colonscopia viene eseguita per diverse ragioni:
Prima dell’esame, il paziente dovrà seguire alcune indicazioni per pulire l’intestino e facilitarne l’osservazione da parte del medico. Queste linee direttive prevedono una dieta ipocalorica da seguire fino al giorno prima dell’esame, quando si dovranno ingerire solo liquidi. La dieta sarà accompagnata dall’assunzione di una soluzione che aiuterà il paziente ad evacuare.
Per eseguire la colonscopia, il paziente viene sedato parzialmente o completamente. Si posizionerà su un fianco e il medico inserirà il colonscopio nell’ano, per percorrere l’intestino crasso. Questo strumento consiste in una sonda flessibile di circa un centimetro di diametro e lunga tra i 122 e i 183 centimetri.
Attualmente esiste un’alternativa alla colonscopia tradizionale, che è molto meno invasiva e non richiede la sedazione. Si tratta della colonscopia virtuale, un tipo di esame che utilizza le immagini dell’interno dell’intestino e del colon, ottenute mediante una tomografia computerizzata (TC o TAC) al posto delle immagini della telecamera del colonscopio.
Di solito, la colonscopia è ben tollerata dal paziente e solo raramente risulta essere dolorosa. Tutt’al più, il paziente sentirà della pressione, del gonfiore o dei crampi durante l’esame. La percentuale di complicazioni gravi è dello 0,5%.
Qualora lo specialista ritenga necessaria una valutazione più accurata, effettuerà una biopsia del rivestimento dell’intestino per analizzarlo.
Durante l’esame si possono trovare dei polipi, che lo specialista può asportare sul momento.
La colecistectomia è un intervento che prevede la rimozione della colecisti (o cistifellea) infiammata, una sacca situata al di sotto del fegato che ha la funzione di immagazzinare bile. Quando i sali minerali e il colesterolo si aggregano e formano dei calcoli causano un’ostruzione del passaggio della bile e questo provoca l’infiammazione della cistifellea.
La rimozione della cistifellea è indicata nel caso di colecistite (infiammazione acuta della cistifellea) con o senza calcoli, di pancreatite o di dilatazione della colecisti; in alcuni casi può essere effettuata anche per la rimozione di neoplasie benigne quali polipi o adenomi.
La colecistectomia è un intervento eseguito generalmente per via laparoscopica (salvo in caso di condizioni che suggeriscano la tecnica tradizionale, cioè laparotomica) e richiede un’anestesia generale. Nella procedura laparoscopica vengono eseguiti 3-4 fori di piccoli dimensioni nei quali vengono introdotti degli strumenti chirurgici e un laparoscopio. Verranno poi eseguite delle radiografie delle vie biliari per individuare la presenza di calcoli in punti esterni alla colecisti (es. dotti biliari). In base all’andamento dell’intervento, potrebbe essere necessario passare dalla tecnica laparoscopica a quella laparotomica.
Prima di sottoporsi all’intervento è necessario rispettare il digiuno per almeno 6 ore prima della chirurgia. Nel caso il paziente assumesse farmaci, dovrà informare lo specialista in modo che possa dargli indicazioni sull’eventuale interruzione della terapia farmacologica. Pochi giorni prima l’intervento di colecistectomia potrebbe essere richiesta l’assunzione di lassativi per garantire un’adeguata pulizia dell’intestino.
Dopo l’intervento, il paziente dovrà rimanere in ospedale per 2-4 giorni. Per i primi 10 è necessario evitare sforzi fisici e poco dopo sarà possibile riprendere le attività quotidiane e lavorative. Lo specialista informerà il paziente sulla data in cui potrà presentarsi in ospedale per rimuovere i punti e medicare la ferita. Inoltre, sarà necessario seguire una dieta povera di grassi e ricca di fibre.
In caso di calcoli biliari, la rimozione della cistifellea è l’unico intervento in grado di risolvere la situazione. La sola rimozione dei calcoli non elimina infatti la possibilità che si possano riformare nel tempo.
L’endoscopia digestiva è una tecnica diagnostica che ci permette di avere una visione diretta, dall’interno, di alcuni organi. Questa metodica permette di verificare l’eventuale presenza di alterazioni o lesioni e di effettuare piccoli interventi quali asportazione di polipi, arresto di emorragie digestive, palliazione di tumori avanzati, cauterizzazioni, biopsie.
L’endoscopia utilizza specifici strumenti (endoscopi) costituiti da un piccolo tubo flessibile al cui interno vi sono sottilissime fibre ottiche, che vengono inseriti nel corpo attraverso le cavità naturali: la bocca o l’ano, a seconda della zona da esplorare. Gli esami più comunemente eseguiti con questa tecnica sono la gastroscopia per studiare esofago, stomaco e duodeno, e la colonscopia per visualizzare l’intestino.
L’ascesso anale consiste in una raccolta di pus in prossimità dell’ano o del retto. Ciò nasce da una infiammazione delle ghiandole situate nel canale anale le quali sono predisposte a facilitare il transito delle feci. Tale ascesso, in casi statisticamente rari, può evolversi in una fistola, una pustola che per localizzazione e sintomatologia condiziona sensibilmente le attività quotidiane di chi ne soffre. Tuttavia, grazie alla maggiore attenzione dei pazienti e ai migliori trattamenti odierni, sono pochi i casi di fistole complesse. Il trattamento dell’ascesso anale prevede una incisione e il drenaggio della fistola in modo da eliminare temporaneamente il dolore. Generalmente l’intervento è di tipo ambulatoriale e, solo nei casi più complessi o per i pazienti che soffrono di diabete o immunodepressione, è previsto un ricovero ospedaliero al quale seguirà, una volta eseguito l’intervento, una terapia antibiotica, quest’ultima utilizzata comunque alla prima manifestazione della patologia.
I calcoli biliari sono grumi duri o sassolini, di solito composti da colesterolo o talvolta da altre sostanze come la bilirubina, che si formano nella cistifellea.
La cistifellea è un piccolo organo situato sotto al fegato che rilascia la bile (prodotta dal fegato, ma immagazzinata e concentrata nella cistifellea) nell’apparato digerente per aiutare l’organismo a convertire i grassi in acidi grassi, che possono così essere assorbiti.
I calcoli biliari non sempre producono sintomi e non sempre hanno bisogno di essere trattati. In effetti, la stragrande maggioranza delle persone non manifesta sintomi, in quanto i calcoli biliari in sé non causano alcun dolore.
In alcune circostanze, tuttavia, un calcolo biliare può rimanere intrappolato, causando un dolore intenso, noto come colica biliare. Il dolore di solito inizia nella parte superiore destra dell’addome e si irradia alla spalla.
Possono sorgere ulteriori complicanze per cui la cistifellea si infiamma: i sintomi possono includere itterizia (ingiallimento di occhi e pelle), febbre, dolore persistente, nausea e vomito.
La diagnosi dei calcoli biliari può avvenire tramite i seguenti esami:
Si ritiene che lo sviluppo dei calcoli biliari sia dovuto a un eccesso di colesterolo o bilirubina nella bile, che porta alla formazione di calcoli. Nella maggior parte dei casi i calcoli biliari sono costituiti da colesterolo; tuttavia, anche una produzione eccessiva di bilirubina da parte del fegato (spesso a causa di lesioni) può portare alla formazione di calcoli.
Si pensa che anche lo svuotamento non corretto della cistifellea possa causare i calcoli, in quanto la bile diventa troppo concentrata.
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo dei calcoli biliari vi sono: il sovrappeso, la mancanza di esercizio fisico, una dieta contenente troppo colesterolo e grasso e allo stesso tempo carente di fibre, nonché una rapida perdita di peso. Ne consegue che seguire una dieta equilibrata e mantenere un peso sano possano aiutare a prevenire lo sviluppo dei calcoli biliari. Altri fattori di rischio per la malattia includono i problemi al fegato e il diabete.
Non è sempre necessario trattare i calcoli biliari; in molti casi, l’opzione migliore è monitorarli e trattarli solo in presenza di sintomi. Tuttavia, se causano complicanze, potrebbe essere necessario trattarli immediatamente. Inoltre, i pazienti che presentano condizioni che aumentano il rischio di complicanze, come l’ipertensione portale (pressione sanguigna elevata nel fegato), la cirrosi epatica o il diabete, possono richiedere un trattamento più urgente.
Nella maggior parte dei casi si esegue un intervento laparoscopico per rimuovere la cistifellea, in un’operazione nota come colecistectomia. Dopo l’operazione i pazienti sono in grado di condurre una vita normale anche senza la cistifellea, in quanto il fegato continuerà a produrre la bile.
È opportuno rivolgersi a esperti in gastroenterologia o in chirurgia generale che siano specializzati nel trattamento dei calcoli biliari.
La chirurgia per l’obesità, anche nota con il nome di chirurgia bariatrica o per la perdita di peso, descrive una serie di procedure pensate per trattare le persone affette da obesità. Nonostante esistano diversi tipi di chirurgia gastrica, lo scopo della procedura è sempre quello di ridurre le dimensioni dello stomaco.
La chirurgia bariatrica rappresenta un tipo di trattamento per le persone obese. L’intervento chirurgico aiuta le persone a perdere peso e viene in genere eseguito allo scopo di ridurre il rischio di soffrire di problemi di salute gravi e potenzialmente letali correlati al peso.
Nel corso del tempo l’obesità può provocare varie condizioni, tra cui malattie cardiache, diabete, ipertensione e un rischio maggiore di ictus.
Come regola generale la chirurgia bariatrica di solito è riservata alle persone con un indice di massa corporea (IMC) superiore a 40, oppure con un IMC superiore a 35 nel caso questo sia accompagnato da un problema di salute grave correlato al peso.
Di seguito vengono riportate alcune delle procedure più comuni volte a ridurre le dimensioni dello stomaco e a far sentire il paziente sazio più velocemente e/o a diminuirne la capacità di assorbimento dei nutrienti:
Tutti gli interventi chirurgici per la perdita di peso vengono eseguiti in anestesia generale. A seconda delle circostanze l’operazione può essere eseguita impiegando la chirurgia a cielo aperto oppure per via laparoscopica, ovvero per mezzo di incisioni più piccole e di telecamere per condurre la procedura. Quest’ultima è nota anche con il nome di chirurgia mininvasiva.
Come prepararsi all’intervento chirurgico per l’obesità dipenderà in una certa misura dall’individuo. Spesso vengono imposte delle restrizioni su cibi e bevande prima dell’intervento e potrebbe essere necessario sospendere temporaneamente l’assunzione di determinati farmaci.
La chirurgia per l’obesità è un’operazione importante; di solito i pazienti vengono lasciati a riprendersi in una sala di risveglio prima di essere trasferiti in reparto. Nei primi due giorni non è consentito consumare né cibo né bevande, per permettere allo stomaco e all’apparato digerente di ristabilirsi.
Successivamente, i pazienti possono passare ad assumere liquidi chiari e, spesso, vengono dimessi circa tre giorni dopo l’intervento, a condizione che tutto prosegua correttamente. Sarà quindi necessario seguire una dieta specifica per alcune settimane dopo l’intervento, di solito incentrata su liquidi e cibi morbidi.
Dopo l’intervento è inoltre necessario apportare delle modifiche permanenti al proprio stile di vita allo scopo di prevenire l’aumento di peso. Si consigliano l’esercizio fisico regolare e una dieta equilibrata per fare in modo che i pazienti non recuperino il peso perso.
Benché le procedure più moderne, come la scleroterapia e l’ablazione, attualmente vengano in genere preferite per il trattamento delle vene varicose, in alcuni casi la chirurgia rappresenta ancora una valida opzione. Questo tipo di intervento chirurgico viene di solito chiamato ‘legatura e stripping (asportazione)’. La chirurgia delle vene varicose viene spesso eseguita in anestesia generale (con il paziente incosciente durante l’intervento).
Spesso le vene varicose sono considerate un problema estetico, ma possono provocare anche dolore e disagio. Il trattamento viene spesso consigliato da un medico nel caso in cui le vene varicose provochino dolore e disagio, oppure se queste sono correlate ad altre complicanze, come ulcere alle gambe o decolorazione della pelle. È anche possibile trattarle per motivi estetici, di solito presso una clinica privata.
La chirurgia delle vene varicose, o ‘legatura e stripping’, consiste prima di tutto nel legare la vena nella gamba praticando due piccole incisioni. Dopo le due incisioni la vena varicosa viene legata e chiusa per poi essere rimossa. L’operazione di solito dura dalle due alle tre ore, ma in genere è possibile ritornare a casa in seguito all’intervento dopo un breve periodo di riposo in clinica o in ospedale.
Prima di tutto il trattamento per le vene varicose verrà discusso con uno specialista allo scopo di verificare di essere idonei per il trattamento chirurgico. Lo specialista fornirà consigli al paziente circa eventuali precauzioni da adottare prima della procedura, come per esempio consigli sui farmaci che non sarà possibile assumere. È consigliabile chiedere al chirurgo che eseguirà la procedura se sarà necessario pernottare in ospedale (cosa infrequente, ma che in alcuni casi può accadere) nonché porgli tutte le domande del caso prima dell’operazione.
Molto probabilmente dopo l’intervento si dovranno indossare delle calze a compressione per alcuni giorni o per una settimana al massimo. Si dovrà riposare e mantenere la gamba sollevata il più possibile. I consigli del chirurgo vanno seguiti. In generale sarà necessario prendersi dei giorni di riposo dal lavoro per consentire una guarigione adeguata. Ciò dipenderà dal lavoro che si svolge e dalla propria salute in generale. Il chirurgo comunicherà al paziente quando sarà possibile tornare al lavoro.
Le vene varicose possono essere trattate anche con la scleroterapia con schiuma, l’ablazione a radiofrequenza e il trattamento laser endovenoso.
La chirurgia epatobiliare si occupa del trattamento chirurgico delle patologie maligne e benigne del fegato, delle vie biliari e del pancreas, tra cui: tumori primitivi epatici, tumori secondari dati da metastasi, tumori della colecisti e della via biliare, cisti, adenomi, iperplasia nodulare focale, calcolosi della colecisti e della via biliare, ecc. Le neoplasie epatiche sono in progressivo aumento negli ultimi anni e molti tumori benigni del fegato evolvono fino a diventare maligni. D’altra parte, invece, i tumori del pancreas endocrino sono molto rari. La resezione epatica ed il trapianto di fegato costituiscono la base della terapia chirurgica, mentre altri trattamenti includono embolizzazione dell’arteria epatica, chemioterapia, radiofrequenza ecc. Le quattro resezioni epatiche classiche sono: la lobectomia epatica destra, la lobectomia epatica sinistra, la trisegmentectomia epatica destra e la segmentectomia sinistra. Nel fegato non cirrotico è possibile asportare circa il 70% del parenchima con una mortalità operatoria inferiore al 5%. Il trattamento chirurgico dei tumori della testa del pancreas, invece, può essere palliativo con semplice derivazione biliare, o radicale con una duodenocefalopancreasectomia (più raramente una duodenocefalopancreasectomia totale). L’intervento di duodenocefalopancreasectomia prevede l’asportazione totale o subtotale del duodeno, l’asportazione della testa e dell’istmo del pancreas, della colecisti e del coledoco.
L’ernia iatale si presenta quando una porzione dello stomaco spinge verso l’alto attraverso un'apertura (chiamata iato) presente nel diaframma. Il diaframma è una lamina muscolare situata tra l’addome e il torace. Nella chirurgia dell’ernia iatale lo stomaco viene risospinto nell’addome e le dimensioni dello iato del diaframma vengono ridotte.
L’intervento chirurgico è necessario quando l’ernia iatale non risponde ai farmaci o a cambiamenti a livello di stile di vita. A volte, per i casi di emergenza, è necessario eseguire un intervento chirurgico. L’intervento è raccomandato anche in presenza di sintomi persistenti, qualora non si desideri assumere farmaci a lungo termine.
La chirurgia dell’ernia iatale viene di solito eseguita utilizzando un laparoscopio, che è uno strumento della chirurgia mininvasiva. Prevede una serie di piccole incisioni addominali e l’impiego di anidride carbonica per gonfiare una porzione dell’addome. Ciò consente al chirurgo di avere più spazio in cui lavorare. Sul laparoscopio è montata una piccola telecamera, che consente al chirurgo di osservare l’interno del corpo durante l’operazione.
Durante l’intervento lo stomaco viene riportato nella posizione corretta e il diaframma che circonda l’esofago viene stretto per impedire che dell’altro acido possa refluire dallo stomaco.
L’intervento viene eseguito in anestesia generale per garantire che non vi sia dolore. Questo tipo di chirurgia richiede 1-2 ore per essere completata.
È probabile che, prima dell’intervento chirurgico, il medico voglia effettuare degli esami per controllare la qualità del movimento dell’esofago e la quantità di acido refluito nell’arco delle 24 ore. Prima di effettuare l’intervento, il chirurgo spiegherà in dettaglio la procedura e che cosa aspettarsi da essa, oltre a tutti i possibili effetti collaterali.
Tali effetti collaterali includono:
I pazienti che si sono sottoposti ad un intervento chirurgico all’ernia iatale possono lasciare l’ospedale una volta passato l’effetto dell’anestetico generale, di solito nel giro di due o tre giorni. Dopo l’intervento la maggior parte dei pazienti è in grado di tornare al lavoro nel giro di 3-6 settimane. Dopo l’intervento si raccomanda inoltre di consumare cibi non solidi, come zuppe o passati di verdure nelle prime sei settimane.
La chirurgia laparoscopica è una tecnica chirurgica mininvasiva che permette allo specialista di diagnosticare o trattare patologie senza praticare ampie incisioni chirurgiche. Durante la procedura chirurgica laparoscopica viene introdotto un laparoscopio nell’addome, cioè un tubo sottile (circa 5-10mm di diametro) dotato di un sistema di illuminazione ed una telecamera a fibre ottiche che trasmette le immagini ad un monitor. I vantaggi della chirurgia laparoscopica sono numerosi. Nonostante i tempi chirurgici siano gli stessi della chirurgia tradizionale, con la laparoscopia si ha un recupero postoperatorio molto più rapido, un rischio di complicazioni ridotto, un minor sanguinamento intraoperatorio ed un minor impatto estetico e psicologico. Possono essere eseguiti con tecnica laparoscopica numerosi interventi addominali.
La chirurgia laser é una tecnica chirurgica che trova applicazione in molti campi: nella correzione dei difetti di vista, nella rimozione di tatuaggi, nella chirugia generale e toracica. Inoltre, è una tecnica efficace e sicura.
La chirurgia mininvasiva è quell'insieme di tecniche chirurgiche volte alla riduzione del trauma legato all'intervento. Si va dal mini-accesso cutaneo, all’intervento a cuore battente o ibrido, dalla circolazione extracorporea e protezione miocardica più fisiologica possibile all’impiego di nuovi materiali come ad esempio le nuove protesi valvolari aortiche Sutureless.
Le cicatrici sono il frutto della guarigione naturale di una ferita. Cicatrici particolarmente visibili si producono quando vengono coinvolti gli strati più profondi della pelle, mentre la maggior parte delle lesioni quotidiane come lacerazioni, tagli, abrasioni o ustioni, non lasciano segni visibili.
Le cicatrici si possono classificare principalmente in ipertrofiche, cheloidee e atrofiche.
Le cicatrici ipertrofiche e cheloidee si sviluppano a causa di un’intensa iperproduzione del tessuto connettivo, che fa crescere la cicatrice oltre la ferita e sulla pelle sana. Le cicatrici cheloidee sono molto più grandi della dimensione originaria della lesione e hanno una maggiore invasività e persistenza rispetto alle ipertrofiche. Le cicatrici cheloidee si sviluppano principalmente in aree in cui la pelle è in maggior tensione, in soggetti geneticamente predisposti e con una frequenza fino a 10 volte maggiore nei soggetti con pelle scura. Le cicatrici atrofiche si caratterizzano per un avvallamento dovuto alla mancanza di collagene. In questo caso quindi, non viene prodotto tessuto a sufficienza per coprire l’intera area danneggiata. Questo tipo di cicatrici sono particolarmente comuni in seguito ad acne o varicella.
Il processo di formazione di una cicatrice avviene in tre fasi: infiammazione, proliferazione cellulare e rimodellamento della matrice. La prima fase avviene nelle immediate 48-72 ore al taglio; tempo durante il quale la lesione si chiude automaticamente con un coagulo di sangue e si attivano i fattori di crescita del nuovo tessuto. Durante le tre e le sei settimane seguenti, inizia la fase della proliferazione cellulare, dove si forma il tessuto connettivo per sigillare la ferita. L’ultima fase della rigenerazione della cicatrice può durare qualche mese o, nei casi più gravi, qualche anno, poiché la formazione di nuovo tessuto e la guarigione degli stati più profondi della pelle può tardare maggiormente.
La formazione di una cicatrice varia a seconda del soggetto ed è influenzata da molteplici fattori: non bisogna, pertanto, basarsi solo su dimensione e profondità della ferita. L’età per esempio, è molto importante, più il soggetto è anziano, più lento sarà il processo di guarigione della lesione. Tuttavia, anche tra i 10 e i 30 anni di età, un’iperproduzione di tessuto connettivo può compromettere la formazione ottimale di una cicatrice. Inoltre, i soggetti dalla pelle molto chiara o molto scura, svilupperanno cicatrici molto più evidenti rispetto ad altri, così come i soggetti con un equilibrio ormonale particolare, come adolescenti o donne incinte. La posizione della lesione è anch’essa molto rilevante nel processo di rigenerazione, infatti le cicatrici si formano in aree del corpo in cui la pelle è soggetta a maggior tensione. Qualora una ferita subisse delle complicazioni, come infiammazioni croniche (per esempio nel caso dell’acne) il rischio di cicatrici è particolarmente alto.
Prevenire completamente le cicatrici non è possibile, ma alcuni accorgimenti possono minimizzare la loro estensione ed il loro aspetto. Le principali regole da seguire sono disinfettare accuratamente la ferita evitando il cotone idrofilo, utilizzare creme idratanti durante il processi di rigenerazione, non esporre la cicatrice al sole e se proprio costretti utilizzare il fattore di protezione massimo.
Le cicatrici sono delle formazioni cutanee permanenti per questo motivo non esiste alcun trattamento che le rimuova completamente. Ciò che invece è possibile fare attraverso la medicina moderna è minimizzare il loro aspetto affinché risultino meno evidenti. È bene far presente però che una cicatrice non dovrebbe mai essere toccata prima che sia passato un anno dalla sua formazione. Quando la cicatrice sia già matura e abbia un colore più scuro rispetto all’area circostante è possibile intervenire con sostanze schiarenti da applicare per un certo periodo. I peeling chimici rappresentano un’altra soluzione, anche se meno efficaci rispetto ad altre tecniche. Il laser ad anidride carbonica CO₂ ad oggi è la metodica con la quale si ottengono i risultati migliori. Agisce rimuovendo gli strati cellulari esterni della cute, stimolando quelli più profondi e promuovendo la rinnovazione cellulare. Nei casi di cicatrici ipertrofiche o cheloidee si può infine ricorrere ad infiltrazioni di specifici farmaci per ridurne il rilievo sulla cute.
Gli specialisti che si occupano di trattare le cicatrici sono il dermatologo ed il chirurgo plastico.
La colecistectomia è un intervento che prevede la rimozione della colecisti (o cistifellea) infiammata, una sacca situata al di sotto del fegato che ha la funzione di immagazzinare bile. Quando i sali minerali e il colesterolo si aggregano e formano dei calcoli causano un’ostruzione del passaggio della bile e questo provoca l’infiammazione della cistifellea.
La rimozione della cistifellea è indicata nel caso di colecistite (infiammazione acuta della cistifellea) con o senza calcoli, di pancreatite o di dilatazione della colecisti; in alcuni casi può essere effettuata anche per la rimozione di neoplasie benigne quali polipi o adenomi.
La colecistectomia è un intervento eseguito generalmente per via laparoscopica (salvo in caso di condizioni che suggeriscano la tecnica tradizionale, cioè laparotomica) e richiede un’anestesia generale. Nella procedura laparoscopica vengono eseguiti 3-4 fori di piccoli dimensioni nei quali vengono introdotti degli strumenti chirurgici e un laparoscopio. Verranno poi eseguite delle radiografie delle vie biliari per individuare la presenza di calcoli in punti esterni alla colecisti (es. dotti biliari). In base all’andamento dell’intervento, potrebbe essere necessario passare dalla tecnica laparoscopica a quella laparotomica.
Prima di sottoporsi all’intervento è necessario rispettare il digiuno per almeno 6 ore prima della chirurgia. Nel caso il paziente assumesse farmaci, dovrà informare lo specialista in modo che possa dargli indicazioni sull’eventuale interruzione della terapia farmacologica. Pochi giorni prima l’intervento di colecistectomia potrebbe essere richiesta l’assunzione di lassativi per garantire un’adeguata pulizia dell’intestino.
Dopo l’intervento, il paziente dovrà rimanere in ospedale per 2-4 giorni. Per i primi 10 è necessario evitare sforzi fisici e poco dopo sarà possibile riprendere le attività quotidiane e lavorative. Lo specialista informerà il paziente sulla data in cui potrà presentarsi in ospedale per rimuovere i punti e medicare la ferita. Inoltre, sarà necessario seguire una dieta povera di grassi e ricca di fibre.
In caso di calcoli biliari, la rimozione della cistifellea è l’unico intervento in grado di risolvere la situazione. La sola rimozione dei calcoli non elimina infatti la possibilità che si possano riformare nel tempo.
La colonscopia è un’endoscopia utilizzata per esaminare il colon e l’intestino tenue, per escludere la presenza di anomalie (tra queste, infiammazioni o ulcere). La durata è di circa 15-20 minuti.
Viene eseguita per mezzo di una sonda molto fina (endoscopio) introdotta a partire dall’ano e dotata di una telecamera all’estremità, che riprende gli organi e le pareti da cui passa.
Una colonscopia viene eseguita per diverse ragioni:
Prima dell’esame, il paziente dovrà seguire alcune indicazioni per pulire l’intestino e facilitarne l’osservazione da parte del medico. Queste linee direttive prevedono una dieta ipocalorica da seguire fino al giorno prima dell’esame, quando si dovranno ingerire solo liquidi. La dieta sarà accompagnata dall’assunzione di una soluzione che aiuterà il paziente ad evacuare.
Per eseguire la colonscopia, il paziente viene sedato parzialmente o completamente. Si posizionerà su un fianco e il medico inserirà il colonscopio nell’ano, per percorrere l’intestino crasso. Questo strumento consiste in una sonda flessibile di circa un centimetro di diametro e lunga tra i 122 e i 183 centimetri.
Attualmente esiste un’alternativa alla colonscopia tradizionale, che è molto meno invasiva e non richiede la sedazione. Si tratta della colonscopia virtuale, un tipo di esame che utilizza le immagini dell’interno dell’intestino e del colon, ottenute mediante una tomografia computerizzata (TC o TAC) al posto delle immagini della telecamera del colonscopio.
Di solito, la colonscopia è ben tollerata dal paziente e solo raramente risulta essere dolorosa. Tutt’al più, il paziente sentirà della pressione, del gonfiore o dei crampi durante l’esame. La percentuale di complicazioni gravi è dello 0,5%.
Qualora lo specialista ritenga necessaria una valutazione più accurata, effettuerà una biopsia del rivestimento dell’intestino per analizzarlo.
Durante l’esame si possono trovare dei polipi, che lo specialista può asportare sul momento.
La diverticolite è l'infiammazione dei diverticoli del colon a causa di un aumento della pressione endoluminale. I diverticoli sono sacche che di solito si formano sul lato sinistro delle pareti del colon, anche se possono trovarsi su tutto il colon: la presenza di diverticoli nel colon è chiamata diverticolosi. Quando si verifica un aumento della pressione endoluminale si ha una pulsione della mucosa attraverso gli strati muscolari del colon nei suoi punti più esposti, che corrispondono ai punti attraverso cui penetrano i fasci neurovascolari.
Nella maggior parte dei casi la malattia diverticolare non presenta sintomi, ma quando ci sono complicazioni possono verificarsi emorragie o diverticoliti. La diverticolite (che è l'infezione dei diverticoli) a sua volta può causare dolori addominali, febbre e brividi. Delle complicazioni più gravi possono anche causare un rottura o la comparsa di fistole: questi casi richiedono un intervento chirurgico
Una delle cause può essere l'alimentazione a basso contenuto di fibre, specialmente in alimenti elaborati. La mancanza di fibra contribuisce alla stitichezza e all'indurimento di feci; ciò aumenta lo sforzo intestinale e la pressione nel colon o nell'intestino, e quindi può portare alla formazione di queste sacche diverticolari.
Il modo migliore per prevenire questa malattia è fare esercizi regolarmente e condurre una buona dieta ricca di fibre, in particolare a base dei seguenti alimenti e bevande:
Il trattamento della malattia diverticolare è semplice e si basa sul consumo regolare di fibra alimentare. In caso di diverticolite, il trattamento deve essere eseguito con antibiotici (per via orale o endovenosa), restrizioni alimentari e emollienti delle feci.
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I diverticoli sono protrusioni della parete del colon di dimensioni variabili da pochi millimetri ad alcuni centimetri. Possono essere classificati come veri o falsi (pseudodiverticoli). Gli pseudodiverticoli, caratterizzati dalla protrusione della mucosa e della sottomucosa attraverso la parete muscolare del colon sono i più frequenti e sono comunemente chiamati diverticoli. Il termine Diverticolosi è riferito alla presenza di diverticoli del colon e generalmente non è associato a disturbi particolari mentre, invece, la flogosi e la emorragia dei diverticoli possono provocare gravi complicanze. La maggior parte dei diverticoli è situata nel colon sinistro e soprattutto nel sigma, mentre solamente il 5-10% dei diverticoli è situato nel colon destro. Le complicanze maggiori della diverticolosi sono la emorragia e la diverticolite. Gran parte dei pazienti affetti da diverticolosi rimane asintomatico, mentre solo il 10-25% sviluppa nel corso della vita una diverticolite ed il 15% una emorragia.
L’endoscopia digestiva è una tecnica diagnostica che ci permette di avere una visione diretta, dall’interno, di alcuni organi. Questa metodica permette di verificare l’eventuale presenza di alterazioni o lesioni e di effettuare piccoli interventi quali asportazione di polipi, arresto di emorragie digestive, palliazione di tumori avanzati, cauterizzazioni, biopsie.
L’endoscopia utilizza specifici strumenti (endoscopi) costituiti da un piccolo tubo flessibile al cui interno vi sono sottilissime fibre ottiche, che vengono inseriti nel corpo attraverso le cavità naturali: la bocca o l’ano, a seconda della zona da esplorare. Gli esami più comunemente eseguiti con questa tecnica sono la gastroscopia per studiare esofago, stomaco e duodeno, e la colonscopia per visualizzare l’intestino.
L’epitelioma è un tumore che si origina nei tessuti e nelle cellule epiteliali, che rivestono la cute e le mucose del corpo umano. Si tratta di tumori che possono avere natura di neoplasia benigna oppure di carcinoma maligno. Coinvolgono principalmente le aree del corpo maggiormente esposte al sole, considerato il principale fattore di rischio.
Generalmente colpisce le aree di:
Possono essere classificati in base al tipo di cellula epiteliale coinvolta nel processo. I principali tipi di epitelioma sono:
La prognosi di un epitelioma dipende dalla natura e dal tipo di terapia adottata per il suo trattamento. Solo raramente un epitelioma può essere letale.
I sintomi dell’epitelioma dipendono dalla natura del tumore e possono essere rappresentati da macchie rosee eritematose, ulcere cutanee, teleangectasie.
Per diagnosticare un epitelioma è necessario un esame dermatoscopico da parte di uno specialista in Dermatologia. Si tratta di un esame non invasivo capace di verificare la natura delle lesioni sulla pelle. In caso di dubbi il medico può richiedere un esame istologico.
La principale causa dell’epitelioma è l’esposizione prolungata ai raggi ai raggi UVA e UVB.
Per prevenire l’insorgere di un epitelioma è opportuno proteggere la propria pelle dai raggi solari, utilizzando una crema protettiva adeguata al proprio tipo di pelle, durante tutto l’anno. Inoltre si consiglia di eseguire un check-up annuale della pelle.
L’asportazione chirurgica del tumore rappresenta la miglior soluzione per trattare l’epitelioma. Esistono delle soluzioni alternative al trattamento chirurgico adottabili nei casi in cui non è possibile ricorrere alla chirurgia:
Si consiglia di consultare il parere di un medico esperto in Dermatologia. Gli altri medici che potrebbero essere coinvolti nel trattamento dell’epitelioma sono specialisti in Chirurgia generale, Chirurgia plastica e Radiologia.
L’ernia si verifica quando parte degli organi interni o di un tessuto spinge attraverso una debolezza presente nella parete muscolare. L’ernia inguinale si verifica quando parte dell’intestino o del tessuto adiposo spinge contro l’inguine nella parte superiore della coscia. Si tratta inoltre del tipo più comune di ernia.
I sintomi dell’ernia inguinale sono un rigonfiamento o un nodulo all’inguine oppure uno scroto allargato. Tali sintomi possono inoltre essere accompagnati da dolore o disagio, dolore quando si tossisce o si sollevano pesi oppure da una sensazione di trascinamento verso il basso all’inguine. Anche una protuberanza su uno dei lati dell’osso pubico può essere un segno di ernia inguinale.
È possibile spingere l’ernia indietro in posizione sdraiata, tuttavia vi possono essere complicanze: l’ernia rimane bloccata o intrappolata ostruendo l’intestino oppure l’ernia si strozza provocando l’interruzione dell’afflusso di sangue. Si tratta di sintomi potenzialmente molto gravi, che possono mettere in pericolo di vita e che richiedono un’attenzione immediata. Tra i sintomi di ernia strozzata vi sono vomito e nausea, febbre, dolore improvviso, una protuberanza che diventa rossa o viola oppure l’impossibilità di andare di corpo o di emettere flatulenze.
Mentre molto spesso non vi è una causa evidente, un aumento di pressione nell’addome, un punto debole nella parete addominale, lo sforzo esercitato quando si espellono le feci, le attività intense e una tosse persistente possono tutte causare un’ernia inguinale. Inoltre, la condizione spesso si verifica durante la gravidanza.
Altri fattori di rischio per lo sviluppo di ernia inguinale sono un’anamnesi familiare di ernie, il sesso (si sviluppano con molta più probabilità negli uomini) e l’età (il rischio aumenta con l’avanzare degli anni).
Evitare un’eccessiva pressione nell’addome, provocata da sforzi durante la defecazione o la minzione, oppure evitare di trasportare e spostare carichi pesanti possono ridurre il rischio di ernia inguinale, tuttavia molte ernie potrebbero essere inevitabili in quanto non presentano alcuna causa apparente. Lo stress sui muscoli addominali può essere ridotto mantenendo un peso sano, seguendo una dieta ricca di fibre e smettendo di fumare.
Per trattare un’ernia inguinale si può ricorrere ad intervento chirurgico, tuttavia in molti casi ciò non è necessario e basta semplicemente tenerla controllata. L’intervento è raccomandato per le ernie che causano dolore grave o che hanno dato origine a complicanze. Una di tali complicanze è lo strangolamento nel punto in cui l’intestino è rimasto intrappolato, una condizione che richiede un trattamento di emergenza per ripristinare l’afflusso di sangue per via chirurgica.
In caso di ernia inguinale, si consiglia di recarsi da uno specialista in Chirurgia Generale
L’ernia ombelicale è un tipo di ernia: un termine che descrive una condizione per cui parte degli organi interni sporgono attraverso un punto debole presente nella cavità circostante. Nel caso dell’ernia ombelicale l’adipe addominale o parte dell’intestino penetra attraverso l’area intorno all’ombelico.
Le ernie ombelicali sono molto comuni, in particolare nei bambini, e sono caratterizzate da una protuberanza attorno all’ombelico che può aumentare di dimensioni quando si ride o si tossisce. Di solito sono indolori nei neonati e nei bambini; tuttavia, negli adulti che sviluppano un’ernia ombelicale il rigonfiamento può essere accompagnato anche da dolore e disagio.
L’ernia ombelicale si sviluppa a causa di un punto debole presente nella parete addominale in prossimità dell’ombelico. Dopo la nascita, il foro attraverso il quale passava il cordone ombelicale durante la gravidanza potrebbe non chiudersi in modo corretto, provocando in tal modo un’ernia già alla nascita oppure più tardi nel corso della vita. Negli adulti un’eccessiva pressione nella cavità addominale può far aumentare le probabilità che si sviluppi un’ernia ombelicale.
Non si può fare molto per prevenire le ernie ombelicali alla nascita; tuttavia, esistono alcuni fattori di rischio per gli adulti. Qualsiasi condizione che aumenti la pressione nella cavità addominale, tra cui l’obesità, gli sforzi durante i movimenti o il sollevamento di oggetti pesanti, la tosse persistente, l’ascite (liquido nell’addome) e le gravidanze multiple (per es. parto gemellare, trigemino, ecc.), può far aumentare il rischio che si sviluppi un’ernia ombelicale.
Nei neonati l’ernia ombelicale si risolve molto spesso da sé: l’ernia rientra e il muscolo vi si richiude sopra. Negli adulti, in genere, l’ernia ombelicale peggiora nel tempo.
Tranne nei casi in cui l’ernia sia molto grande o vi siano altre complicanze, prima di prendere in considerazione un intervento chirurgico, nella maggior parte dei casi, è consigliabile attendere fino a quando il bambino non avrà compiuto i quattro o cinque anni, in quanto l’ernia potrebbe scomparire da sé.
Nella maggior parte degli adulti le ernie ombelicali vengono trattate per mezzo di intervento chirurgico, in cui viene riposizionato il tessuto addominale e viene chiusa la parete addominale. Tra le complicanze vi può essere l’ostruzione, per cui una porzione dell’intestino rimane bloccata all’esterno dell’addome causando potenzialmente nausea, vomito, dolore e disagio. Lo strangolamento, per cui si interrompe l’afflusso di sangue alla porzione di intestino che costituisce l’ernia, è una complicanza potenzialmente grave e richiede un trattamento di emergenza al fine di evitare che il tessuto intrappolato muoia.
In caso di ernia ombelicale, si consiglia di recarsi da uno specialista in Chirurgia Generale
Il termine fistola anale sta ad indicare una complicanza di un ascesso anale non curato. All’interno dell’ano è possibile trovare delle ghiandole che possono ostruirsi, infettarsi e dare origine ad ascesso il quale, se non curato, sviluppa un piccolo tunnel all’interno della pelle (fistola) che mette in comunicazione la ghiandola infetta con la pelle dei glutei.
I principali sintomi di una fistola anale sono: prurito, irritazione cutanea nell’area anale, secrezione di pus o sangue. Nei casi più gravi può provocare febbre, dolore ed un ulteriore ascesso.
Le cause delle fistole anali sono le stesse che provocano gli ascessi:
La fistola anale non si origina in tutti i casi di ascesso (si sviluppa nel 30-50% dei casi) e non è possibile prevenirne la formazione.
Il trattamento della fistola anale prevede un intervento chirurgico che può essere eseguito in day surgery o ambulatorialmente. Nei casi più gravi l’intervento può richiedere breve un periodo di ricovero ospedaliero. La fistulotomia è un intervento indicato in caso di fistole sottomucose o che interessano una parte dello sfintere, mentre in caso di fistole transfinteriche (o “alte”, cioè che coinvolgono una parte considerevole dello sfintere) è richiesto un trattamento in più fasi per evitare di danneggiare lo sfintere. A seguito dell’intervento è previsto un periodo di degenza a casa di circa 7 giorni, il fastidio può essere lieve o moderato ma è possibile assumere antidolorifici per tenerlo sotto controllo.
Una fistola sacro-coccigea (o cisti pilonidale) è una sacca anomala nella pelle che spesso contiene capelli e detriti cutanei. Si formano più comunemente nelle natiche, spesso nella parte superiore vicino al coccige dove i glutei si separano. Se ne possono formare più di una e, di solito, sono collegate tra di loro tramite piccoli tunnel sottocutanei. In caso di infezione si riempiono di pus. Sono più comunemente associate agli uomini, all’obesità e alle persone che trascorrono molto tempo sedute.
Tra i sintomi di una cisti pilonidale vi sono:
La diagnosi può essere raggiunta tramite un esame obiettivo. Talvolta può essere indicato sottoporsi ad analisi del sangue e a un esame ecografico.
La causa esatta delle cisti pilonidali non è nota, ma l’opinione generale è che si verifichi quando un pelo sciolto buca la pelle oppure quando un follicolo pilifero si rompe e un pelo spezzato spinge attraverso la pelle. Questo si può in seguito infettare e provocare la formazione di un ascesso. Anche l’attrito può contribuire alla loro formazione, per esempio quando si indossano abiti stretti o si sta seduti per molto tempo.
Esistono inoltre una serie di fattori di rischio che possono rendere una persona maggiormente predisposta allo sviluppo di cisti pilonidali:
Per evitare lo sviluppo di cisti pilonidali si raccomanda di:
Il trattamento della cisti pilonidale infetta normalmente comporta il drenaggio della cisti. L’operazione per aprire l’ascesso e drenare il pus può essere eseguita in anestesia generale.
In caso si ripresenti, l’infezione può essere controllata utilizzando antibiotici. Tra le operazioni alternative vi è una procedura, nota con il nome di escissione ampia, che consiste nel tagliare la porzione di pelle contenente la cisti.
Un altro trattamento alternativo consiste nell’escissione e nella chiusura primaria, che comporta che la porzione di pelle interessata venga tagliata e la ferita chiusa con dei punti di sutura.
Per trattare alcune cisti pilonidali è possibile utilizzare la colla di fibrina. Per prima cosa vengono rimossi eventuali peli dall’area; in seguito si utilizza una colla assorbibile per sigillarla. Ciò può essere fatto in anestesia locale o generale, a seconda delle preferenze del paziente. Tale procedura non provoca molto dolore e la guarigione è molto veloce.
A occuparsi della cura di questo disturbo sarà un esperto in chirurgia generale specializzato nel trattamento della fistola sacro-coccigea.
L’incontinenza fecale descrive una perdita di controllo sulla defecazione, che fa sì che il paziente si imbratti senza volerlo. Si ritiene che almeno una persona su dieci soffrirà anche solo in parte di incontinenza fecale nel corso della propria vita, ma non vi è nulla di cui vergognarsi. Di solito l’incontinenza è sintomatica di un altro problema o condizione sottostante, e non fa parte del normale processo di invecchiamento. Solitamente non scompare da sé, ma può essere trattata in modo efficace, riuscendo spesso a curarla. È pertanto sempre meglio consultare il proprio medico di famiglia o uno specialista.
Normalmente l’incontinenza fecale in sé è solo un sintomo, non una diagnosi. Potrebbe manifestarsi come una necessità improvvisa di andare in bagno, senza che il paziente sia in grado di farlo in tempo (incontinenza fecale d’urgenza). Tuttavia, altri pazienti non avvertono nulla prima di imbrattarsi e non provano alcuna sensazione quando le feci fuoriescono (incontinenza passiva). Anche le flatulenze possono causare una leggera incontinenza passiva.
La maggior parte dei casi di incontinenza fecale è provocata da attacchi di diarrea o, al contrario, dalla costipazione. Un’altra causa frequente è l’indebolimento dello sfintere anale (l’anello muscolare che apre e chiude l’ano).
Anche delle cause di lungo corso, come il diabete, la sclerosi multipla (SM), la spina bifida e finanche la demenza possono provocare l’incontinenza fecale.
Seguire una dieta e uno stile di vita sani può aiutare a ridurre le probabilità di soffrire di diarrea o costipazione, che sono le cause principali dell’incontinenza fecale. Così facendo è inoltre possibile prevenire il diabete di tipo 2. Tuttavia, non vi è alcuna garanzia che prevenire tali problemi sia effettivamente possibile, come non è possibile fare nulla per prevenire cause quali la SM o la demenza.
Fortunatamente l’incontinenza fecale è assolutamente trattabile e la maggior parte dei pazienti sarà in grado di mantenere una funzionalità intestinale normale per il resto della vita. I diversi trattamenti includono:
Per insufficienza venosa si intende quella serie di difficoltà presenti nel ritorno venoso del flusso di sangue dalle gambe al cuore attraverso le vene. L'invio di sangue dalle gambe al cuore avviene per la contrazione dei muscoli della parte superiore delle gambe. Quando v'è un'insufficienza venosa le pareti delle vene sono indebolite e le valvole danneggiate, e ciò provoca un ristagno di sangue nelle vene, soprattutto quando si è in piedi.
L'insufficienza venosa si manifesta con sintomi come prurito e formicolio, gonfiore, dolore, pesantezza o crampi alle gambe, dolore che peggiora quando la persona è in fase di riposo ma migliora al sollevare le gambe e tenerle in alto. Si verificano cambiamenti nella pelle, con alcune zone che si irritano o squamano al grattarsi, rossore, visibilità in superficie di vene varicose, ispessimento e indurimento della pelle di gambe e caviglie e ulcere o ferite che guariscono con lentezza.
Di solito, l'insufficienza venosa si deve al malfunzionamento della valvola delle vene, anche se può esser causata da un vecchio coagulo di sangue nelle gambe che ostruisce o impedisce il normale flusso sanguigno. Tra i fattori di rischio principali ci sono: l'età, la presenza di antecedenti familiari, un passato con trombosi venosa profonda nelle gambe, obesità, gravidanza, restare seduti o in piedi per un lungo periodo di tempo, l'altezza o anche il fatto di esser donna, in quanto in quest'ultimo caso l'insufficienza è legata ai livelli di progesterone.
La prevenzione si realizza tramite la somministrazione di anticoagulanti dopo aver subito una trombosi venosa profonda, nonché con l'applicazione di calze a compressione nei due anni che seguono la trombosi o i traumatismi venosi agli arti inferiori. Dei cambiamenti nello stile di vita che possono ridurre al minimo i fattori di rischio, come la perdita di peso, un esercizio fisico regolare o la riduzione di sodio nella dieta, aiutano ad alleviare la pressione sugli arti inferiori.
Il trattamento consiste nell'utilizzo di calze elastiche e nell'evitare di trascorrere molte ore in una stessa posizione, come pure altri fattori che predispongono la formazione e la stagnazione sanguigna. Se queste misure sono insufficienti, sarà necessario un trattamento farmacologico e / o chirurgico. Può essere raccomandabile la rimozione delle varicosi o altri trattamenti non invasivi per questi tipi di vene, in particolare quando vi sono dolore alle gambe o ispessimento e indurimento della pelle su gambe e caviglie. In caso di presentazione di ferite, ulcere o qualsiasi condizione dermica, è necessario seguire la cura indicata dallo specialista.
Si definisce “laparocele” la fuoriuscita dei visceri (ernia) della cavità addominale attraverso una ferita o cicatrice prodotta in seguito ad un intervento chirurgico. I sintomi legati a tale difetto della parete dell’addome prevedono fastidio o dolore, specialmente in seguito ad uno sforzo fisico (in particolare localizzato nell’addome), affaticamento o posizione eretta per un lungo periodo di tempo. Le probabilità di comparsa di laparocele sono strettamente legate ad alcuni fattori di rischio come l’età, il peso eccessivo o infezioni pregresse della ferita.
Il laser è uno strumento che emette una radiazione unidirezionale e monocromatica con una lunghezza d’onda compresa tra l’infrarosso e l’ultravioletto. Il termine “luce laser” prende il nome dall’inglese “Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation”. In medicina sono attualmente disponibili molti tipi di laser, ognuno con una propria lunghezza d’onda e con delle caratteristiche specifiche a seconda della finalità per cui viene utilizzato. Il vantaggio di questa differenza risiede nel fatto che, scegliendo il laser più indicato ad ogni tipo di trattamento, non vengono danneggiati i tessuti o la cute da trattare.
Il laser viene utilizzato da numerose branche della medicina (Urologia, Dermatologia, Oculistica, Medicina Estetica, ecc.) per risolvere difetti come i tumori cutanei, benigni o maligni, la cataratta e le vene varicose o per rimuovere i tatuaggi.
Esistono vari tipi di laser, ognuno con una sua lunghezza d’onda, e tra quelli usati più comunemente troviamo:
L’utilizzo del laser non è indicato per i soggetti fotosensibili. I risultati e rischi dipendono dal tipo di trattamento.
Il tipo di preparazione può variare in base al tipo di laser utilizzato e a seconda del fine per cui viene richiesto il trattamento. In generale, prima della procedura il paziente eseguirà una visita medica per valutare insieme allo specialista il suo stato di salute. Il medico deve essere informato se il paziente sta seguendo terapie con farmaci anticoagulanti, ormonali o fotosensibilizzanti ed il paziente dovrà comunicargli eventuali trattamenti estetici eseguiti in passato, incluse terapie laser.
Dopo essersi sottoposto ad un trattamento laser il paziente dovrà evitare di esporsi al sole ed eseguire attività fisica per un periodo di tempo limitato. Nel caso in cui il laser sia stato utilizzato per correggere difetti alla vista, il paziente non potrà guidare per 24 ore e dovrà aspettare 2-3 per riprendere le attività quotidiane.
Il lipoma è una crescita benigna che si sviluppa sotto la pelle ed è in genere formato da tessuto adiposo. Di solito crescono lentamente e si trovano tra lo strato cutaneo e lo strato muscolare sottostante. I lipomi sono più comuni nella mezza età, sono solitamente indolori ed appaiono di norma nella parte superiore della schiena, nelle spalle e nell’addome.
La causa dei lipomi non è nota. Si ritiene che l’origine possa essere genetica; pertanto, vi è una maggiore probabilità di svilupparli se i propri genitori o altri membri della famiglia hanno avuto lipomi in passato. Spesso possono comparire in seguito a infortunio, sebbene il motivo alla base della loro formazione non sia noto.
Come accennato in precedenza, i lipomi sono normalmente indolori; tuttavia, se esercitano pressione sui nervi adiacenti possono provocare del dolore. Appaiono come protuberanze molli e pastose con dimensioni che variano da quelle di un pisello a quelle di un pompelmo. Se premute, tali protuberanze si possono spostare leggermente.
I lipomi sono più diffusi negli adulti di età compresa tra i 40 e i 60 anni, sebbene si possano sviluppare a qualsiasi età.
Le persone che presentano le seguenti condizioni sono più a rischio di sviluppare uno o più lipomi:
Trattamenti per i lipomi?
I lipomi, se vengono lasciati stare, normalmente non causano problemi, tuttavia, se necessario possono essere trattati. Il metodo più comune nel trattamento dei lipomi è la rimozione chirurgica, che può essere eseguita da un dermatologo o da un chirurgo plastico. L’intervento chirurgico consiste nel praticare un’incisione e nel rimuovere il tessuto adiposo prima di suturare l’apertura. Sebbene esista il rischio che il lipoma si possa ripresentare, si tratta di un’eventualità rara. Un’altra opzione di trattamento per ridurre le dimensioni della protuberanza è la liposuzione, in cui viene utilizzato un ago per rimuovere parte del grasso dall’interno del lipoma. Infine, per il trattamento del lipoma si possono utilizzare iniezioni di steroidi. L’effetto dell’iniezione di steroidi è quello di ridurre il lipoma, sebbene tale trattamento non rimuova completamente la condizione.
La pancreatite è l’infiammazione del pancreas, una ghiandola che si trova dietro lo stomaco. Il pancreas è fondamentale per la digestione del cibo, grazie alla produzione di determinati enzimi e di ormoni che aiutano nella gestione dei livelli di glucosio nel sangue. Esistono due tipi di pancreatite: acuta e cronica. La pancreatite acuta si verifica quando il pancreas improvvisamente si infiamma. La pancreatite cronica si verifica quando il pancreas risulta permanentemente danneggiato a causa di infiammazione del pancreas nel corso di molti anni.
Tra i sintomi della pancreatite acuta vi sono:
Tra i sintomi della pancreatite cronica vi sono:
È importante consultarsi con uno specialista qualora si verifichino dolori addominali frequenti.
Esistono un certo numero di esami che vengono utilizzati per fare una diagnosi, tra cui:
Si ritiene che la pancreatite acuta si verifichi quando gli enzimi digestivi si attivano quando sono ancora presenti nel pancreas, provocando l’irritazione delle cellule pancreatiche e quindi l’infiammazione. La pancreatite acuta inoltre è collegata ai calcoli biliari, al consumo di alcol, ad infezioni e ad alcuni farmaci. La pancreatite cronica viene attribuita in larga parte all’abuso di alcol nel lungo termine, al fumo, a mutazioni genetiche ereditarie e a problemi al sistema immunitario. In alcuni casi, la causa che porta ad una diagnosi di pancreatite non viene mai confermata.
Il trattamento per la pancreatite acuta mira a supportare le funzioni corporee fino all’attenuazione dell’infiammazione. Il primo passo nel trattamento della pancreatite acuta consiste nel lasciare che il pancreas guarisca e che l’infiammazione diminuisca. A tal fine il trattamento deve avvenire in ospedale, dove sarà possibile somministrare liquidi per via endovenosa, che vanno a sostituire quelli persi, e i farmaci per la gestione del dolore. Anche digiunare per alcuni giorni aiuta il pancreas a ristabilirsi.
Una volta ristabilitosi il pancreas, i medici possono iniziare a lavorare per trattare la causa sottostante della pancreatite. Spesso tali trattamenti aggiuntivi possono includere:
Per le persone affette da pancreatite cronica potrebbero essere necessari ulteriori trattamenti, tra cui:
In caso di pancreatite, è opportuno rivolgersi ad uno specialista in Chirurgia Generale o Gastroenterologia
I polipi intestinali sono, nella maggior parte dei casi, forme di origine benigna che si presentano a partire dai 50/55 anni di età. La colonscopia può aiutare a diasgnosticarli. Se non trattati possono trasformarsi in formazioni maligne.
Il reflusso gastroesofageo consiste nella risalita dei succhi gastrici dello stomaco nell’esofago, il canale attraverso il quale liquidi e alimenti scendono dalla bocca allo stomaco. Quando i sintomi si presentano più volte nel corso di una giornata e si associano ad altri disturbi, si può parlare di malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE).
Il contenuto gastrico contiene acidi che irritano la mucosa esofagea e causano i sintomi tipici del reflusso gastroesofageo: bruciore di stomaco e al petto, acidità, ipersalivazione e rigurgito. L’acidità dei succhi gastrici può irritare anche le vie respiratorie e la gola, provocando l’abbassamento della voce, laringite, raucedine, tosse e asma.
L’esofago, attraverso dei movimenti ritmici e aiutato dalla forza di gravità, fa avanzare il cibo verso lo stomaco. Lo sfintere esofageo inferiore regola il passaggio del cibo, aprendosi per far passare il bolo alimentare e chiudendosi per impedire allo stesso di risalire. Il reflusso si verifica quando vi è un malfunzionamento di questa valvola, che si apre nel momento sbagliato e permette lo spostamento del contenuto gastrico verso l’alto. Un’altra causa è uno svuotamento gastrico lento. Quanto più il cibo ristagna nello stomaco, tanto maggiori sono le probabilità che si presentino i sintomi del reflusso gastroesofageo. Anche quando il PH salivare, basico, si abbassa, l’esofago è meno protetto dagli attacchi dei reflussi gastrici.
L’alimentazione gioca un ruolo importante nella cura e nella prevenzione del reflusso gastroesofageo. Tra gli alimenti da evitare vi sono insaccati, alcolici, formaggi, tè, caffè, pomodoro, agrumi, bibite gassate e soffritti. Il latte, il “rimedio della nonna” per eccellenza contro il reflusso, in realtà lo favorisce, in quanto è un alimento ricco di grassi che potrebbero rallentare lo svuotamento dello stomaco. È buona cosa mangiare lentamente, triturando bene il cibo per favorire la digestione, e fare 4-5 piccoli pasti al giorno. Inoltre, è meglio evitare di andare a dormire subito dopo aver mangiato. Infine, bisogna evitare di assumere alcuni farmaci, come antinfiammatori non steroidei e alcuni ansiolitici, che possono aumentare l’acidità gastrica, e di indossare vestiti troppo stretti.
Il trattamento si basa sulla correzione dello stile di vita e sulla terapia farmacologica. Quest’ultima si avvale di farmaci in grado di accelerare il tempo di svuotamento dello stomaco, di proteggere la mucosa esofagea e di ridurre l’acidità dei succhi gastrici. Solo in casi particolari, che non hanno trovato risposta nel trattamento con i farmaci, si ricorre all’intervento chirurgico, che ha come scopo il ripristino della funzionalità dello sfintere.
Il tumore all’intestino, anche noto come cancro al colon-retto, nasce dalla diffusione di cellule tumorali nella mucosa dell’organo. Poiché colon e retto sono collegati spesso il cancro si sviluppa in uno e si estende successivamente all’altro, per questo si parla di cancro del colon-retto. Si stima che questa tipologia di cancro sia la terza causa di mortalità nei paesi industrializzati e statisticamente colpisce maggiormente gli uomini. Benché sia altamente diffusa, in caso di diagnosi precoce la sopravvivenza alla malattia si aggira attorno al 80%.
I sintomi principali con cui si presenta il tumore al colon-retto includono:
Tuttavia, i sintomi appena citati sono spesso lievi e vengono confusi con altre malattie. Per questo motivo è sempre importante prestare attenzione a segnali precoci come affaticamento (astenia), inappetenza ed anemia.
La patologia viene diagnosticata attraverso indagini diagnostiche come la colonscopia o la rettosigmodoiscopia, o con radiografie del colon retto come il clisma opaco a doppio contrasto. La prima tipologia si basa sulla ricerca del tumore attraverso esplorazione delle cavità del retto e del colon, mentre la seconda sull’evidenza attraverso radiografia della malattia.
Una prima causa di sviluppo di questa tipologia di timore è rappresentata da una componente genetica. Quando esiste infatti una storia familiare di tumore o polipi dell’intestino la probabilità di esserne affetti aumenta fino a 4 volte in più. Una dieta sbilanciata ed uno stile di vita sedentario sono un altro fattore fondamentale. Fumo ed abuso d’alcool hanno ugualmente un impatto negativo. Infine, patologie infiammatorie croniche dell’intestino predispongono particolarmente al tumore.
Secondo le ultime ricerche in materia, l’assunzione di alcuni alimenti potrebbero alzare il rischio di sviluppare il tumore all’intestino. Tra questi alimenti includiamo: carne rossa, carni lavorate e bevande alcoliche. Sovrappeso ed obesità hanno ugualmente un effetto negativo. D’altra parte, uno stile di vita attivo ed un’alimentazione ricca di fibre, aglio e latte sembra avere un effetto protettivo.
Nei casi di trattamento del cancro al colon in fase precoce, quindi di tumore limitato ad una sola area, la tecnica più efficace consiste nell’asportazione delle cellule tumorali con la chirurgia. Qualora esista il dubbio alcune lesioni siano rimaste questa tecnica può essere affiancata alla chemioterapia. In fase di sviluppo avanzato della neoplasia, il trattamento diventa più complesso. In base alle indicazioni dello specialista si utilizza una chirurgia il più possibile conservativa per l’organo affiancata da radioterapia e/o chemioterapia.
Lo specialista che esegue gli esami diagnostici per individuare possibili neoplasie dell’intestino è il gastroenterologo. Quando la diagnosi viene confermata sarà necessario rivolgersi ad un oncologo ed ad un chirurgo generale.
Le varici, o vene varicose, sono vene dilatate in modo tale che si possono vedere in rilievo sopra la pelle. Questi vasi infiammati sono spesso di un colore viola o bluastro e appaiono in particolare nelle donne, nelle zone del polpaccio e nella parte interna delle gambe. Anche se il tipo più comune di vene varicose è quella nelle gambe, esistono anche altri tipi di vene varicose come le vene del ragno (o teleangectasie), che compaiono soprattutto nelle gambe, ma interessano vene più piccole. Ci sono anche le vene dilatate nell'esofago, nella regione anale come le emorroidi, o nei testicoli come il varicocele.
L'indicatore principale delle vene varicose è la visibilità costante della varice nella gamba. Inoltre l'affetto da varicidi solito presenta i seguenti segni:
Le varici si verificano quando le vene non portano correttamente sangue al cuore. Questo si accumula nelle vie venose, ed è per questo che le vene si dilatano e ostruiscono. Le arterie e i capillari incanalano il sangue ricco di ossigeno dal cuore verso tutto il corpo, e questo passa poi attraverso le valvole venose e torna al cuore. Talvolta, le valvole che devono lasciar filtrare il sangue si indeboliscono e perdono di elasticità. A causa di questo evento le vene tendono a riempirsi del sangue che non è circolato correttamente, e a gonfiarsi. Dilatandosi le vene si ritorcono per adattarsi al loro normale spazio, e si formano vene varicose.
Poiché le vene varicose sono dovute a problemi circolatori, mantenere una buona circolazione può essere un efficace metodo per prevenire le vene varicose. Pertanto, evitare uno stile di vita sedentario e condurre una buona dieta a basso contenuto di grassi saturi, oltre a frequenti impacchi di acqua fredda alle gambe, possono migliorare la circolazione e prevenire le vene varicose. Una volta che sono apparse, se ne può prevenire il peggioramento con misure simili, come ad esempio evitare una prolungata posizione a sedere o in piedi, evitare di accavallare le gambe quando si è seduti, tenere le gambe verso l'altro quando si è sdraiati, fare attività fisica, limitare il peso, evitare di indossare abiti aderenti o tacchi alti. Aiuta anche massaggiare le gambe in senso ascendente, procedendo verso il cuore, e se il medico lo consiglia è possibile utilizzare calze a compressione.
Attualmente ci sono diversi trattamenti per le vene varicose, che sono fatti sia per fini estetici che per alleviare i sintomi di dolore e pesantezza:
È importante curare le vene varicose al di là di una questione estetica, in quanto è un problema di salute e di circolazione sanguigna.
Le vene varicose, dette anche varici, sono un disturbo dovuto alla dilatazione di una vena che colpisce prevalentemente gli arti inferiori. Le vene varicose non sono solo un semplice problema estetico, ma vengono considerate una vera e propria patologia del sistema circolatorio. Si manifestano con l’insorgenza di vene blu o viola scuro, a volte in rilievo, ed i principali sintomi che si possono riscontrare sono: crampi notturni, prurito nell’area in cui è presente la varice, sensazione di pesantezza alle gambe, bruciore o gonfiore, dolore che aumenta dopo lunghi periodi di tempo seduti o in piedi, ecc. Le vene varicose sono causate da un malfunzionamento delle valvole venose e dalla ridotta elasticità delle pareti che trasportano il sangue. Non esistono regole assolute che permettano di prevenire l’insorgenza di vene varicose, ma vi sono alcuni accorgimenti che possono contribuire a migliorare la circolazione sanguigna, tra cui: svolgere attività fisica abitualmente, evitare l’uso di tacchi alti, evitare di stare seduti o in piedi per molte ore consecutive, evitare condizioni di sovrappeso e obesità, evitare cibi molto salati favorendo alimenti con alto contenuto di fibre. Il trattamento delle vene varicose può essere medico (con calze elastiche), ambulatoriale (con terapia sclerosante), chirurgico (safenectomia o flebectomia) o endovascolare con radiofrequenza.
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